Ieri mattina, (27/11/2017) in Salerno, presso l’Hotel Mediterranea, si è svolto l’ultimo incontro per il 2017 promosso da UNICA Formazione in collaborazione con l’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Salerno.
Argomento del convegno di studio ed aggiornamento professionale era il welfare aziendale.
Sono intervenuti per UNICA Pier Corrado Cutillo, Segretario generale di Federazione UNICA, e Alessandro D’Amico, Presidente di UNICA Formazione.
Di seguito si pubblica il testo dell’intervento del dott. Cutillo.
WELFARE e Contrattazione Integrativa Aziendale
Pier Corrado Cutillo
L’argomento che intendo portare alla vostra cortese attenzione è la gestione dei benefici di natura non monetaria offerti dalle imprese a integrazione del salario dei propri dipendenti in forza della contrattazione di secondo livello.
Mi concentrerò, quindi, sono nel definire gli ambiti e le convenienze generali connessi con l’attivazione di tutte quelle politiche contrattuali che sono, nel loro insieme, definite come Piani di Welfare Aziendale o, in sigla, PWA.
Questi benefit nati al fine di aumentare la fidelizzazione dei lavoratori per quelle posizioni professionali che maggiormente “sentono” le offerte del mercato, sono diventati negli ultimi anni un concreto strumento di sostegno al reddito. La chiave per il loro successo è una sola: il carico fiscale.
Ora, mentre la politica tarda nel dare nuovo impulso a tali politiche con l’approvazione di un testo organico di ciò che si può fare e di ciò che non si può fare, sempre più spesso il tema del welfare entra nella contrattazione collettiva e aziendale con l’obiettivo di legittimare e strutturare questi strumenti, superando ed innovando rispetto ai contorni fissati dal Parlamento in una semplice logica di tassazione.
Nella tradizione contrattuale italiana il welfare contrattuale ha costituito una politica esplicitamente tesa a fidelizzare i dipendenti. Non è una sfida da poco stravolgere questo paradigma, ovvero portare alla diffusione di un nuovo welfare come naturale integrazione del salario da intendersi come applicabile alla totalità dei dipendenti, inclusi quelli con contratti atipici.
Tale sfida riconosce alla contrattazione, in particolare a quella di secondo livello sia essa aziendale o territoriale o di settore, un ruolo di considerevole importanza: solo a questo livello è possibile, infatti, il graduale superamento delle stratificate dinamiche ancora oggi presenti in molte imprese e l’instaurazione di un dialogo costruttivo fra imprese e sindacati circa le esigenze produttive e i bisogni dei lavoratori.
Le ultime vicende che hanno investito il sistema italiano delle relazioni industriali hanno riportato alla ribalta il ruolo e l’importanza che le parti sociali rivestono in relazione alle prospettive di sviluppo economico e coesione sociale. Tale ruolo si è concretizzato in tre distinte, ma coordinate, tendenze:
- La prima tendenza vede il rapporto tra le Parti Sociali connotato da un’impronta fortemente difensiva, vista la recente recessione, quindi da una contrattazione caratterizzata da un sostanziale congelamento delle dinamiche salariali, da un maggior ricorso ai contratti atipici, da un uso molto flessibile dell’orario, dalla deregolamentazione dell’organizzazione del lavoro e dal sotto inquadramento dei neoassunti e delle categorie svantaggiate.
- La seconda tendenza è stata quella del decentramento contrattuale. Quasi ovunque si sono ampliate le prerogative della contrattazione aziendale rispetto a quella settoriale e/o di quella settoriale rispetto a quella interconfederale, in alcuni casi con anche la possibilità di prevedere deroghe non tanto rispetto ai contratti di livello superiore, ma addirittura rispetto alla legge.
- La terza tendenza è quella relativa all’ampliamento degli spazi della negoziazione individuale partendo dall’assunto secondo il quale la transizione verso un’economia della conoscenza tende a valorizzare il capitale umano e con esso la sua capacità negoziale. Si pensi alla diffusione del lavoro atipico e indipendente, alle deroghe ad personam, alla ricerca del coinvolgimento individuale nell’organizzazione del lavoro, alla certificazione della natura del rapporto di lavoro.
È in questo scenario complesso e coordinato come già detto, ma non necessariamente coerente, che, alla luce della ripresa, si inserisce il nostro tentativo come Parti Sociali di compensare la progressiva perdita di potere d’acquisto dei salari, la stretta sul welfare indotta dalle politiche di rientro delle Amministrazioni pubbliche e la nascita di nuovi bisogni all’interno della società, mediante la negoziazione creativa di un variegato sistema di nuove e vecchie prestazioni.
Prestazioni che, per determinate aree, possono accompagnare il lavoratore ben oltre il suo periodo lavorativo, estendendosi il loro godimento sia alla fase BEFORE WORKING AGE (si pensi agli asili nido per i figli o al doposcuola) sia alla fase POST WORKING AGE (con ausili e provvidenze per la terza età). Tutto ciò, è ovvio, aumenta il grado di fidelizzazione dei propri dipendenti ripagando sul medio-lungo periodo l’investimento dell’azienda molto più di qualsiasi intervento tradizionale di gratificazione monetaria.
La Contrattazione Integrativa Aziendale gode di importanti potenzialità se applicata al welfare, infatti è il livello negoziale che meglio si presta per affrontare tali tematiche in modo mirato e ragionato. Ovviamente, tale potenzialità risulta – per il taglio medio piccolo delle imprese – traslata al livello territoriale o di comparto, vista l’impossibilità di economie di scala all’interno di numeri esigui.
Su questo punto, è utile dirlo con chiarezza, gli enti bilaterali rappresentano una naturale camera di compensazione tra le istanze che provengono dal territorio e/o dall’interno di determinati settori produttivi e i soggetti preposti alla negoziazione aziendale e/o territoriale.
Chi vi parla ipotizza che il welfare aziendale, inteso come applicazione delle previsioni di cui al Decreto Interministeriale del 25 marzo 2016 – possa arrivare a fungere da “catalizzatore” della contrattazione decentrata e quindi quale terreno di sperimentazione di quel “decentramento contrattuale” che tanto è stato predicato ma che poi allo stato dei fatti è sempre stato schiacciato dal sistema di contrattazione collettiva, vista la tipica conformazione del tessuto produttivo italiano che assegna la maggioranza numerica degli addetti all’insieme delle PMI.
Eppure, senza voler sminuire l’impatto di questa situazione di fatto, è mio personale convincimento che il welfare aziendale sia, strutturalmente, in grado di adattarsi ad una grande varietà di situazioni aziendali diverse. Si pensi, solo a titolo di esempio, come un giusto mix di azioni rivolte a tutti i lavoratori, le cosiddette FIXED BENEFIT e di azioni dedicate a specifiche categorie, le FLEXIBLE BENEFIT possano consentire ad un accordo di Welfare aziendale di “colpire” in modo prossimo all’ottimale tutte le categorie dei lavoratori.
Sempre in favore di un maggior decentramento sono le iniziative di più recente sperimentazione da parte delle Parti Sociali, quale quella prevista dal nostro sistema contrattuale di predefinire a livello di CCNL gli elementi e gli importi di welfare aziendale che la contrattazione di secondo livello potrà attivare.
Questo approccio mira a rendere più semplice e fruibile da una platea maggiore di aziende la definizione di Contratti Integrativi Aziendali con una chiara e diretta connessione tra welfare e contrattazione di produttività.
Ovvero, la redistribuzione ai dipendenti, tramite accordi o contratti collettivi territoriali o aziendali, degli «incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione efficienza organizzativa», a cui la legge ricollega agevolazioni fiscali e contributive, potrebbe virtuosamente incrociarsi con la destinazione di parte di detti incrementi al welfare aziendale con i noti vantaggi fiscali di cui abbiamo già detto.
Nel promuovere il livello della contrattazione aziendale per una più efficace risoluzione delle criticità del welfare, non bisogna trascurare il ruolo del Sindacato a livello di singola impresa, aspetto questo che può influire in maniera importante sulla effettiva accettazione di questi nuovi strumenti da parte dei lavoratori e, come giusto, a condizionare l’azienda nella scelta degli strumenti da considerare a livello di welfare.
È dunque possibile affermare, in estrema sintesi, che il sindacato ha assunto un ruolo non trascurabile nella gestione delle opzioni di Welfare aziendale. Un ruolo che risulta strategico per le imprese che voglio rendere il loro investimento in welfare aziendale il più incentivante possibile per la produttività dei dipendenti.
Si pensi, a tal proposito, a quanto determinato dalla possibilità del lavoratore di optare, in sostituzione del welfare, per la richiesta del pagamento in denaro. Se non vi fosse un’azione di promozione di questo strumento da parte del Sindacato il rischio di veder perso l’investimento di risorse e tempo per la ricerca da parte dei dipendenti di ulteriori risorse economiche sarebbe molto più che realistico.
Ecco quindi il perché come UNICA e come CISAL crediamo in piani di welfare concordati con accordi-quadro che poi possano essere adattati alle singole specifiche esigenze e realtà.
Solo una sinergia Azienda – Sindacato può garantire il raggiungimento di specifiche condizioni che sono preliminari al successo dell’operazione, quali:
- La convinzione e la visione, dell’azienda e dei lavoratori di costruire un percorso sul medio periodo di sviluppo del capitale umano;
- La scelta tra le diverse opzioni di welfare, mirante a far sentire tutti i lavoratori come il centro di interesse di tutto il progetto, grazie ad un’attenta analisi dei bisogni e della loro rappresentazione percentuale sull’intero corpo dei dipendenti;
- La facilità di accesso ai servizi, mirante a rendere l’utilizzo delle offerte welfare semplici e dirette per tutti i lavoratori anche quelli con minori competenze culturali o informatiche o, nel caso di dipendenti stranieri, linguistiche;
- La flessibilità, ovvero l’essere in grado di adattarsi al cambiamento – in corso di vigenza – di alcune specificità della forza lavoro o delle esigenze dell’impresa;
- La comunicazione, ovvero la capacità di trasferire la scelta di attivare il welfare aziendale a tutti i dipendenti già in forza nell’azienda sia, aspetto ancora più importante, a quelli che entrano in azienda dopo l’entrata in vigore dell’accordo di welfare.
Purtroppo, non è unanime il giudizio delle sigle sindacali su questo approccio allo strumento “welfare aziendale”. Alcune sigle, a seguito di una visione ideologica delle relazioni industriali, criticano il welfare aziendale considerandolo solo uno scambio a buon mercato, ma poco remunerativo, nonché poco conveniente, per i lavoratori.
Altre, invece, si mostrano più propense ad accettare moderazioni salariali, avanzate dall’azienda, in cambio di politiche di gestione delle risorse umane che sostengano il benessere organizzativo ed extra-lavorativo dei lavoratori, ovvero il miglioramento complessivo dell’ambiente di lavoro.
La conseguenza pratica di questa situazione è che l’impresa e i professionisti che la seguono, nell’optare per un approccio di tipo negoziale, piuttosto che unilaterale, per l’attivazione del welfare aziendale, devono tenere inevitabilmente in conto che non tutti gli interlocutori sono intercambiabili in questa situazione.
Qui non si tratta di inneggiare alla cogestione, ovvero ad un’azione di stampo cooperativo/partecipativo, ma bisogna rimarcare come vi debba essere, da parte delle Parti Sociali, una oggettiva sensibilità per essere parte attiva di una contrattazione di secondo livello che abbia le modalità e le finalità compatibili con lo sviluppo di politiche di welfare aziendale.
Oggi, fortunatamente, risultano sempre più numerosi i casi di aziende che su basi negoziali di secondo livello intraprendono azioni in tema di welfare aziendale che vanno ad affiancarsi e/o a “potenziare” le previsioni del CCNL in tema di welfare.
Questo è molto positivo perché i due piani di negoziazione: l’aziendale e il collettivo hanno specificità che concorrono a migliorare la performace complessiva di questo strumento, basti pensare come:
- Da un lato, a livello decentrato, vengono adottate misure di welfare aziendale e di conciliazione vita/lavoro, talvolta anche molto originali e innovative.
- Dall’altro, in sede di contrattazione collettiva si definiscono modelli di azione ed intervento generalisti e quindi in grado di trovare applicazione anche in realtà produttive non ancora mature per intraprendere una autonoma evoluzione contrattuale.
Recenti indagini statistiche hanno rilevato che i primi 10 strumenti di welfare contrattuale in Italia sono:
- Sostegno alla mobilità, con il 64% di presenza;
- Piani assicurativi per i lavoratori e i familiari, con il 53%;
- Sostegno economico per le contingenze negative, con il 46%
- Previdenza integrativa, con il 40%;
- Salute per il lavoratore e/o i familiari, con il 38%;
- Sicurezza e prevenzione incidenti, con il 38%;
- Pari opportunità e tutela della genitorialità, con il 18%;
- Welfare allargato, con il 15%;
- Integrazione sociale ed azioni positive, con il 14%
- Ultimo, ed è un peccato vista la sua valenza strategica, la conciliazione vita e lavoro con il 5% di presenza.
Proprio perché ancora poco valorizzata negli accordi di Welfare Aziendale, la conciliazione vita/lavoro merita alcuni cenni esplicativi.
Di tutte le aree di intervento del welfare è quella che ha la maggiore ricaduta sul tessuto sociale, grazie agli attori coinvolti che sono, oltre ai lavoratori come ovvio, anche le loro famiglie.
Inoltre, per la sua natura policentrica è anche il settore dove maggiore è la possibilità di adattare gli interventi ai reali bisogni dei lavoratori, si pensi solo a come siano flessibili strumenti quali:
- La banca oraria;
- La Flessibilità oraria, il cosiddetto orario scorrevole;
- Il Telelavoro in fase di rientro dalla maternità/paternità o in caso di specifiche esigenze delle famiglie, magari in collegamento con quanto previsto dalla Legge 104;
- O, in conclusione, il Lavoro ripartito.
Questo breve elenco, per nulla esaustivo, era solo inteso a provare a rappresentarvi come una politica “coraggiosa” e proattiva di welfare possa evitare di perdere risorse che altrimenti uscirebbero dal ciclo produttivo a causa dei carichi familiari o – più semplicemente – di ridurre l’assenteismo e la collegata morbillità che sono, come noto! La risposta automatica dei lavoratori in mancanza di welfare per i problemi familiari.
Ecco quindi che l’azienda, consapevole delle positive ricadute della contrattazione aziendale in ambito di WELFARE, ha a propria disposizione due distinte ma coordinate opzioni: applicare le previsioni generaliste del proprio CCNL o aprire un confronto con il sindacato aziendale per la definizione di autonome scelte contrattuali in ambito di welfare aziendale, da attuarsi mediante l’accesso diretto a uno dei molteplici provider di convenzioni per i diversi pacchetti di welfare.
È innegabilmente a livello aziendale che si può meglio verificare l’utilità delle iniziative messe in atto, sia sul piano del miglioramento del clima in ambito lavorativo, della fidelizzazione, del senso di appartenenza dei dipendenti, dell’attrattività dell’azienda con welfare per i lavoratori detentori di alte o rare professionalità e dei risultati positivi sia per l’azienda (minor assenteismo, qualità della produzione, ecc.) che per i lavoratori (risparmi dei tempi e delle spese personali e familiari, miglior conciliazione vita-lavoro, miglior rapporto fra quanto erogato dall’azienda e quanto percepito, ecc.).
Avviandomi a concludere desidero utilizzare gli ultimi minuti della vostra attenzione su un elemento estremamente qualificante del welfare aziendale: la diversa rappresentazione che dà e si dà l’impresa che attua il welfare rispetto alla realtà esterna.
E’ infatti pacifico come l’Impresa che attui il welfare ai propri dipendenti è un’impresa che – concettualmente – è già pronta a compiere gli ulteriori passi che la qualificheranno come un soggetto di crescita sociale oltre che un semplice soggetto economico, mi riferisco alla certificazione SA 8000, al codice etico e, per concludere al bilancio ambientale ovvero a quell’insieme di policies e condotte che sono ricomprese nel più generale BILANCIO SOCIALE.
Pier Corrado Cutillo
(Segretario Generale UNICA)