La rappresentatività tra poche certezze e molte incertezze. UNICA esprime la sua posizione.

Due recenti sentenze, una della Suprema Corte – la numero 4951 del 2019 – e una del Giudice del Lavoro di Pavia del 26 febbraio scorso, hanno riportato sotto i riflettori degli addetti ai lavori il sempre attuale argomento della legittimità o meno della contrattazione collettiva promossa da contraenti differenti da CGIL-CISL-UIL.

Il perché questi due pronunciamenti vengano da noi assimilati, fermo restando il diverso valore nomofilattico delle corti giudicanti, è da riscontrarsi nell’ennesima riconferma dell’assoluta e non più rimandabile esigenza di dare contenuto normativo ai principi dell’art. 39 della Carta.

Infatti, pur partendo da situazioni di fatto sovrapponibili, le interpretazioni – in assenza di un chiaro appiglio normativo – sono risultate completamente divergenti: la Suprema Corte ha riconfermato l’orientamento di riconoscere un’oggettiva valenza giuridica all’assunto della maggiore consistenza organizzativa delle succitate confederazioni CGIL-CISL-UIL con la conseguente ricaduta di ridurre il campo applicativo delle garanzie di libertà costituzionale di cui agli articoli 18 e 41, stante l’impossibilità per le Imprese di tradurre la libertà di associazione sindacale in libertà di utilizzazione degli strumenti prodotti dall’azione contrattuale e negoziale dell’associazione e l’analoga impossibilità per l’imprenditore, pur con le previsioni di cui all’art. 41, di poter liberamente scegliere quale strumento contrattuale collettivo applicare in azienda.

Di segno opposto il dispositivo di sentenza emesso dal Giudice del lavoro di Pavia, dove, partendo dall’assunto di una più attenta applicazione dell’art. 115 c.p.c., secondo comma, si definisce come a carico dell’Amministrazione sanzionatrice, l’obbligo di dimostrare nei fatti e non astrattamente la maggiore rappresentatività di una sigla sindacale rispetto all’altra nel momento e nel luogo oggetto della vertenza.

A tal proposito giova ricordare che la Legge stabilisca chiaramente come il requisito di maggiore rappresentatività si riferisca, sempre e solamente, alle consistenze organizzative delle diverse sigle e non alla base applicativa di un determinato CCNL.

Ora essendo la contestazione sulle differenze contributive un’azione di tipo ispettivo è a carico dell’Amministrazione vigilante la dimostrazione di fatto e di diritto che in quell’azienda e in quel momento la maggioranza, almeno relativa, dei lavoratori aderisse o conferisse mandato a CGIL-CISL-UIL anziché alla sigla che ha sottoscritto il CCNL applicato in azienda.

Questo perché il CCNL, de quo, prevedeva espressamente il proprio campo di applicazione e la propria validità solo ed esclusivamente a vantaggio di imprese che avessero già aderito alla Associazione datoriale promotrice prima della data di applicazione ai lavoratori del menzionato CCNL.

In conclusione UNICA rilancia la propria speranza che in questa Legislatura la maggioranza parlamentare, finalmente non legata a doppio filo con le solite centrali sindacali, abbia la volontà di metter fine a una vacatio legis che dura dal 1948.

UNICA chiede che la Legge sulla rappresentatività preveda questi punti fissi:

  1. Deleghe annuali senza rinnovo automatico;
  2. Rappresentanza datoriale sempre e solo a fronte di specifica delega;
  3. Rappresentanza dei lavoratori su doppio binario, per la collettiva sulla base delle deleghe complessivamente raccolte dalle diverse sigle, per quella aziendale sul ricorso obbligatorio allo strumento del Referendum dei lavoratori, ex art. 21 della Legge 300/1970;
  4. Accesso per tutte le sigle sindacali purché costituite con atto pubblico e con obbligo di congresso ogni 4 anni, alle previsioni di cui alla Legge 311/1973;
  5. Divieto di vincolare qualsiasi beneficio di Legge all’applicazione di un determinato contratto collettivo di lavoro;
  6. Riorganizzazione del CNEL come momento di sintesi nazionale e Intercategoriale di tutte le realtà associative in ambito sindacale operanti in Italia con una soglia di sbarramento al 4% del dato di rappresentanza per ogni singola categoria;
  7. Individuazione delle categorie di riferimento per il mondo del lavoro affidata al Ministero del lavoro con la collaborazione dell’ISTAT e dell’INPS.

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *